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San Giovan Giuseppe della Croce (Carlo Gaetano Calosirto) Sacerdote dei Frati Minori

5 marzo

Ischia, Napoli, 15 agosto 1654 – Napoli, 5 marzo 1734

Carlo Gaetano Calosirto nacque a Ischia il 15 agosto 1654. A sedici anni entrò nel convento napoletano di Santa Lucia al Monte dei Frati Minori Alcantarini, dove condusse vita ascetica. Insieme a undici frati fu mandato poi nel santuario di Santa Maria Occorrevole di Piedimonte d’Alife, per la costruzione di un nuovo convento. Successivamente fu a Napoli come maestro dei novizi e a Piedimonte come padre guardiano. Quando, agli inizi del Settecento, dal ramo spagnolo si formò la nuova provincia alcantarina italiana, padre Giovan Giuseppe ne fu eletto primo provinciale. Morì il 5 marzo 1734. Fu canonizzato nel 1839 con Alfonso Maria de’ Liguori e Francesco de Geronimo, dei quali era stato consigliere spirituale. Le sue spoglie, inizialmente venerate nella chiesa del convento di Santa Lucia al Monte a Napoli, sono venerate dal 30 settembre 2003 nella chiesa conventuale dei Frati Minori di Sant’Antonio alla Mandra, in Ischia Ponte.

Patronato: Napoli, Ischia, Alife

Martirologio Romano: Sempre a Napoli, san Giovanni Giuseppe della Croce (Carlo Gaetano) Calosirto, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori, che, sulle orme di san Pietro di Alcántara, ripristinò la disciplina religiosa in molti conventi della provincia napoletana.


Le doglie colgono donna Laura Gargiulo il 15 agosto 1654, mentre sta passeggiando nel borgo di Ischia Ponte, ad una certa distanza dal signorile e fortificato palazzo in cui abita. Così Carlo Gaetano, il suo terzo figlio, viene alla luce nella modesta stanzetta di una donna del popolo che generosamente e prontamente accoglie la partoriente. Quasi un segno che, quel bambino, non è destinato ad abitare a lungo nel palazzo dei Calosirto, una delle famiglie più in vista a facoltose di Ischia.
Sarà per inclinazione naturale, sarà per “colpa” della famiglia profondamente religiosa in cui si prega molto, si digiuna a pane e acqua in ogni vigilia di festa comandata, e dove si respira una grande devozione alla Madonna, ma quel bambino sembra davvero portato alla vita religiosa, complici anche i padri agostiniani cui i genitori affidano la sua preparazione culturale e religiosa.
Ma non è da questi che il ragazzino si rivolge, a sedici anni, per realizzare la sua vocazione: ha conosciuto nel frattempo i frati alcantarini e si sente attratto dall’austerità di vita di questi Francescani che si ispirano alla riforma attuata da san Pietro d’Alcántara.
A sedici anni entra così nel loro convento napoletano di Santa Lucia al Monte; qui, insieme al nuovo nome di Giovan Giuseppe della Croce, riceve una forte spinta verso la vita ascetica, grazie ad un Maestro dei novizi particolarmente ispirato.
Dopo la professione religiosa, insieme a undici confratelli si trasferisce a Piedimonte d’Alife, per costruire un nuovo convento nelle vicinanze del santuario di Santa Maria Occorrevole. È giovanissimo, ed è qui che si innamora: del silenzio abitato da Dio, della preghiera lunga e fervorosa, della meditazione prolungata e trasformatrice.
Come sempre avviene per i santi autentici, meditazione e preghiera non riescono ad estraniarlo dal mondo, ma gli donano una sensibilità maggiore per scoprire, soprattutto fra le pieghe della sua Napoli, le mille contraddizioni e le tante miserie, nelle quali egli si muove perennemente scalzo, anche e ben al di là della sua Regola, con qualsiasi tempo e malgrado le intemperie.
Tanto che una volta si ammala, così gravemente da temere per la sua vita; appena guarito, eccolo nuovamente per strada, instancabile tra un malato da curare ed un moribondo da assistere. Perché padre Giovan Giuseppe, non aspetta che i poveri arrivino a lui, preferisce andarseli a cercare direttamente nei tuguri e nelle soffitte.
Cadono su di lui le responsabilità della sua famiglia religiosa: umilmente le svolge, e anche con successo, come dimostra la delicata situazione che porta alla spaccatura tra gli Alcantarini di Spagna e quelli d’Italia.
Di questi ultimi egli diventa superiore, ma continuando a lavorare per la riunificazione della famiglia alcantarina che riesce ad attuare dopo vent’anni, durante i quali colleziona critiche e calunnie capaci di smontare chiunque. Ma non lui, che nel silenzio al quale si è votato trova il suo più prezioso alleato per non rispondere male per male e per generosamente perdonare anche il più accanito calunniatore.
Sulla sua strada fioriscono miracoli: parlano di bilocazioni, lievitazioni, profezie, guarigioni, moltiplicazioni, addirittura della risurrezione di un bambino. Prima di ogni cosa è autenticamente prete, ricercato per la confessione e la direzione spirituale anche da santi autentici, come Alfonso Maria de’ Liguori e Francesco de Geronimo, insieme ai quali (quando si dice scherzi della Provvidenza!) padre Giovan Giuseppe della Croce verrà canonizzato nel 1839.
Ma santo nel cuore della gente lo era già da vivo e soprattutto da quel 5 marzo 1734 in cui, ottantenne, aveva chiuso gli occhi, nello stesso convento napoletano in cui era entrato 65 anni prima.

Autore: Gianpiero Pettiti

 


 

Cosa spinge un uomo ricco ad occuparsi dei poveri? Forse una madre che gli insegna a essere generoso con i derelitti? Forse un maestro che gli insegna il catechismo? Oppure la lettura dei libri che parlano di Gesù e dei santi? O, ancora, un’inclinazione personale per la carità verso i più deboli? Potrebbe essere una voce che arriva dal Cielo e che parla al cuore: prima sussurra piano, poi alza il tono, infine urla per farsi ascoltare. Urla che c’è gente che soffre ed ha bisogno d’aiuto. Tutto questo è capitato a Carlo Gaetano Calosirto, un bambino nato nel 1654, nell’isola d’Ischia (Napoli), da una nobile famiglia che vive in un castello. Mamma Laura Gargiulo gli insegna a essere buono con i poveri. Il bambino si rifugia in una stanza da solo, per pregare e leggere Libri Sacri, ma anche per creare, con del filo, bottoni da rivendere per aiutare i poveri. Non sopporta le cattive parole e, quando un fratello gli dà uno schiaffo, invece di reagire, s’inginocchia e prega.
A soli quindici anni, cambiando il suo nome in Giovanni Giuseppe della Croce, entra nel Convento di Santa Lucia al Monte di Napoli. Il ragazzo indossa il ruvido saio dei monaci francescani: solo e sempre lo stesso, per tutta la vita, tanto rattoppato da essere soprannominato “Padre centopezze”. Viaggia a piedi scalzi sotto la pioggia anche d’inverno; si nutre di pane, acqua e legumi. Tutto ciò che possiede il convento è per i poveri di Napoli. E quanti miracoli compie Fra Giovanni Giuseppe! Ogni volta che i frati si privano di pane, vino e verdure per sfamare i poveri, il cibo si moltiplica, oppure generosi benefattori si fanno avanti.
Il santo cammina sollevato da terra mentre prega, ha visioni della Madonna che gli porge Gesù Bambino; guarisce zoppi e ciechi e resuscita un fanciullo. Il sacerdote non si risparmia: confessa, guida decine di conventi, cura gli ammalati, va a cercare i poveri nei tuguri e li annota in un elenco. Come maestro dei novizi è molto amato: non ordina, chiede con dolcezza. Per dare l’esempio svolge i lavori più umili: lava i piatti o spazza le stanze. Il santo muore nel 1734 a Napoli. A Piedimonte d’Alife (Caserta) si trova il piccolo Convento “La solitudine”, fatto costruire dall’umile frate in mezzo al bosco e tuttora meta di tanti pellegrini.

Autore: Mariella Lentini
 



Carlo Gaetano Calosirto nacque a Ischia il 15 agosto 1654, terzo figlio del nobile Giuseppe e di donna Laura Gargiulo. Venne alla luce nella casa di una popolana di Ischia Ponte perché sua madre, mentre stava rientrando a casa, fu colta dalle doglie.
Di carattere mite, incline all’obbedienza, frequentò nell’isola i padri agostiniani, da cui ricevette la prima formazione umanistica e religiosa.  A quindici anni si sentì attratto dalla vita austera dei Frati Minori Scalzi della Riforma di San Pietro d’Alcántara, detti Alcantarini, dipendenti dal convento di Santa Lucia al Monte a Napoli.
Nel giugno 1670 fu accolto in quel convento. Il 23 dello stesso mese cominciò il noviziato, sotto la guida ascetica di padre Giuseppe Robles. Cambiò nome in fra Giovan Giuseppe della Croce. Il 24 giugno 1671 emise la professione religiosa.
Il 12 luglio 1674 fu inviato, il più giovane in un gruppo di undici frati, presso il santuario di Santa Maria Occorrevole a Piedimonte d’Alife, per la costruzione di un nuovo convento. Divenne sacerdote il 18 settembre 1677. Durante la sua permanenza a Piedimonte, fece costruire in una zona più nascosta del bosco un altro conventino detto “La Solitudine”, ancora oggi meta di pellegrinaggi, per poter pregare più in disparte.
A partire dal 1697, fu maestro dei novizi a Napoli e guardiano (ossia superiore) del convento di Piedimonte d’Alife. Ebbe poi lo stesso incarico a Santa Lucia al Monte e a Santa Maria Capua Vetere. Oltre a questo, si adoperò per la costruzione del convento di San Pasquale al Granatello a Portici, in provincia di Napoli.
Agli inizi del 1700 il Movimento Francescano subì una tempesta organizzativa dovuta ai forti dissensi sorti fra gli Alcantarini spagnoli e quelli italiani, circa duecento, che erano la maggioranza. Con l’approvazione pontificia, avvenne la separazione in Provincie religiose: gli spagnoli ottennero i conventi di Santa Lucia al Monte e di San Pasquale.
Padre Giovan Giuseppe, il 16 aprile 1703, fu eletto ministro provinciale degli Alcantarini italiani. Cercando di superare le difficoltà che venivano poste dai confratelli spagnoli, richiamò gli altri a una vita più rispettosa della alla Regola e riordinò gli studi.
Scaduto il suo mandato dopo tre anni, ebbe dall’arcivescovo di Napoli, il cardinale Francesco Pignatelli, l’incarico di dirigere settanta fra monasteri e ritiri napoletani. Uguale incarico ebbe anche dal cardinale Innico Caracciolo per la diocesi di Aversa.
Il suo saio rattoppato divenne proverbiale, tanto da attribuirgli il soprannome di “frate cento pezze”. Essendo qualificato direttore di coscienze, a lui si rivolsero celebri ecclesiastici e nobili illustri. Gli furono attribuiti doni singolari, come apparizioni della Madonna e di Gesù Bambino, la bilocazione, la profezia, la lettura dei cuori e la levitazione: fu visto passare per le strade di Napoli sollevato di un palmo da terra, in stato di estasi. Chiamato poi al capezzale del marchesino Gennaro Spada, gli ridiede la vita.
Il 22 giugno 1722, con decreto pontificio, i due rami degli Alcantarini furono riuniti. Quindi, anche il convento di Santa Lucia al Monte ritornò ai frati italiani. In quel luogo padre Giovan Giuseppe visse per altri dodici anni e morì il 5 marzo 1734. La sua tomba posta nel convento divenne centro di devozione dei napoletani, che lo elessero loro compatrono nel 1790.
Beatificato da papa Pio VI il 24 maggio 1789, fu canonizzato da papa Gregorio XVI il 26 maggio 1839, insieme ad altri quattro Beati: Francesco de Geronimo, Alfonso Maria de’ Liguori (entrambi l’avevano conosciuto e avevano ricevuto i suoi consigli), Pacifico di San Severino e Veronica Giuliani.
L’isola d’Ischia, che sempre l’ha venerato e amato come suo carissimo e grande figlio, lo onora come suo compatrono insieme a santa Restituta. La sua festa patronale cade la prima domenica di settembre. Proprio per il suo legame con Ischia, dove tornò solo due volte (una per assistere la madre malata, una per le proprie ragioni di salute), è stato richiesto che sue spoglie venissero trasferite da Santa Lucia al Monte al convento ischitano dei Frati Minori.
Così, dopo una peregrinazione temporanea nel 1985, le sue reliquie sono state definitivamente traslate il 30 settembre 2003 nella chiesa conventuale dei Frati Minori di Sant’Antonio alla Mandra, in Ischia Ponte.
A lui sono poi intitolate una cappella nel Castello Aragonese di Ischia e una chiesa parrocchiale, risalente agli anni ’80 del secolo scorso, nel borgo Tofari di Alife, di cui pure è patrono. Anche la casa dove nacque è meta di pellegrinaggi. Infine, l’Unità Pastorale di Alife porta il suo nome.


Autore:
Antonio Borrelli ed Emilia Flocchini

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Aggiunto/modificato il 2023-01-25

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