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Beata Angela Salawa Vergine e Terziaria francescana

12 marzo

Siepraw, Polonia, 9 settembre 1881 - Cracovia, Polonia, 12 marzo 1922

Aniela Salawa, nata in Polonia da una numerosa e modesta famiglia, fu educata alla fede dalla madre. Già a quindici anni lavorava come donna di servizio e maturò col tempo la decisione di non sposarsi. Scossa dalla morte della sorella Teresa nel 1899, intraprese un serio cammino di penitenza e conversione, trasformandosi in un’apostola tra le domestiche di Cracovia. Il 15 maggio 1912 ricevette l’abito di Terziaria francescana, mentre aveva già emesso il voto privato di castità. Ridotta in povertà per aver perso il lavoro, finì col vivere in una soffitta, dove ebbe anche visioni ultraterrene. Ricoverata presso l’ospedale Santa Zita di Cracovia, vi morì il 12 marzo 1922. È stata beatificata da san Giovanni Paolo II il 13 agosto 1991 a Cracovia, durante il secondo viaggio apostolico in Polonia del Pontefice. La sua memoria liturgica, per la diocesi di Cracovia, è stata fissata al 12 marzo. I suoi resti mortali sono stati traslati il 13 maggio 1949 nella basilica di San Francesco a Cracovia, dove sono tuttora venerati.

Martirologio Romano: A Cracovia in Polonia, beata Angela Salawa, vergine del Terz’Ordine di San Francesco, che scelse di impegnare tutta la vita lavorando come donna di servizio: visse umilmente tra le serve e migrò al Signore in assoluta povertà.


La santità delle domestiche
La categoria delle domestiche ha dato lungo i secoli, alla Chiesa e alla cristianità, tante figure di Beate e Sante, che iniziando a lavorare in questo campo, per un tempo più o meno lungo, portarono nelle famiglie e nei fedeli l’esempio delle loro virtù cristiane e morali e di un apostolato possibile in ogni ambiente del vivere quotidiano.
La maggioranza di esse lasciarono poi il compito di domestiche, per entrare a far parte di Istituti e Congregazioni religiose, alcune diventando loro stesse fondatrici; quando non divennero suore, entrarono senz’altro nei Terz’Ordini religiosi.
Ma ci furono anche quelle che domestiche erano e tali rimasero fino al termine della vita. Santificandosi fra i fornelli e le pulizie delle abitazioni, fra rimproveri o ammirazione dei padroni di casa, divennero apostole di Cristo fra i bisognosi. Da santa Zita di Lucca, vissuta tra 1218 e 1278 e proclamata patrona delle domestiche da papa Pio XII il 26 settembre 1953, si arriva ad Aniela Salawa, vissuta in Polonia tra Otto e Novecento.

Nascita e prima educazione
Nacque il 9 settembre 1881 a Siepraw presso Cracovia in Polonia, undicesima dei dodici figli di Bartłomiej Salawa ed Ewa Bochenek. Al Battesimo, ricevuto quattro giorni dopo la nascita, le fu dato il nome di Aniela, corrispettivo polacco di Angela.
Il padre era fabbro, mentre la madre, tutta dedita alla casa e ai numerosi figli, insegnava loro la pietà, la modestia e la laboriosità. Aniela crebbe quindi con questi principi e si formò sotto la guida della madre, che la preparò anche alla Prima Comunione verso i dodici anni, secondo la consuetudine dell’epoca.

A servizio già a quindici anni
Già a 15 anni nel 1894 era a servizio presso una famiglia di Siepraw: pascolava le vacche, falciava l’erba, intratteneva i bambini. All’inizio della primavera del 1895 estirpava le radici e i ciuffi d’erba, nonostante le temperature gelide del periodo.
Rientrò in famiglia dove sostò fino all’ottobre 1897, rifiutando nel frattempo le insistenze del padre che la spingeva verso il matrimonio. In seguito si trasferì a Cracovia, per andare a lavorare come cooperatrice familiare. Sin dai primi giorni fu ospitata dalla sorella Teresa, alla quale ribadì che non si sentiva chiamata al matrimonio.
A Cracovia andò a servizio presso la famiglia Kloc, dove lavorò duramente senza mai lamentarsi; aveva 16 anni ed era molto attraente. Per questo il padrone di casa prese ad insidiarla, per cui Angela dopo poco tempo lasciò l’occupazione.

La conversione
Dopo altri rapporti di lavoro in alcune famiglie dei paesi vicini, ritornò a Cracovia, dove assistette, il 25 gennaio 1899, alla serena morte della sorella maggiore Teresa, anch’ella domestica. Rimasta scossa dalla perdita, avvertì il richiamo di una voce interna che la chiamava a percorrere la via della perfezione.
Aniela rispose prontamente, anzitutto prolungando il tempo della preghiera in chiesa e in casa e nella meditazione. Con l’assistenza del suo direttore spirituale, il gesuita padre Stanislao Mieloch, si consacrò a Dio con il voto di castità perpetua, già pronunciato nella prima giovinezza.

Il suo apostolato tra le domestiche
Prese a dedicarsi ad un apostolato oscuro ma fecondo tra le domestiche di Cracovia: le riuniva, le istruiva, le consigliava, le dirigeva. Nell’adempiere i doveri delle sue mansioni, dimenticava spesso sé stessa. Nonostante la salute precaria, era sempre allegra e socievole; si vestiva bene, non per il mondo, ma per Dio.
Nel 1900 si iscrisse all’Associazione di Santa Zita, che promuoveva l’assistenza alle domestiche: poté in tal modo esercitare in forma più organizzata un fruttuoso apostolato fra le sue compagne di lavoro, diventando per loro una guida e un modello di vita cristiana.

Un periodo di sofferenza
Nel 1911 fu colpita da una dolorosa malattia, che la sconvolse per lungo tempo, poi morì la madre e la giovane signora alla quale prestava la sua opera con affetto e dedizione; inoltre si sentì abbandonata anche dalle compagne che non poteva più radunare in casa.
Questo periodo di angosciosa sofferenza, raccontato nel suo Diario, fu affrontato da Aniela, unendosi maggiormente a Dio nella preghiera e nella meditazione. Nel 1912 ebbe anche fenomeni mistici, con la visione dell’incontro con Gesù.

«La santa signorina»
Aderì al Terz’Ordine di San Francesco, prendendone l’abito il 15 maggio 1912 nella chiesa dei Francescani Conventuali di Cracovia; il 6 agosto 1913 emise la regolare professione.
Durante la Prima Guerra Mondiale, aiutò con i suoi pochi risparmi i prigionieri di guerra, senza distinzione di nazionalità. Volontariamente si impegnò con amore all’assistenza dei feriti e dei malati negli ospedali di Cracovia, dove rispettosamente era chiamata «la santa signorina».

Senza più lavoro
Per avere rimproverata l’amante del suo padrone, l’avvocato Fischer, fu licenziata nel 1916 da quella casa dove lavorava dal 1905. Seguirono alcuni anni di abbandono, senza lavoro e con la malattia più incalzante, mentre proseguivano i fenomeni mistici.
Nel 1918, ormai debilitata nelle forze, lasciò anche i lavori saltuari e si ritirò in un piccolo ambiente in una soffitta, preso in affitto. Iniziò così l’ultimo periodo della sua vita: cinque anni di sofferenze in unione con Dio, che la gratificava con visioni, specie di Gesù con la corona di spine e sofferente.
Il confessore le portava ogni giorno la Comunione e le compagne, inconsolabili, si alternavano nel suo tugurio per assisterla.

La morte
Annotò sul suo Diario: «Ripensando alla mia vita, credo di essere in quella vocazione, luogo e stato in cui fin dall’infanzia Dio mi ha chiamato». Nella sua ardente carità, pregò di prendere su di sé le malattie degli altri: le sue sofferenze si moltiplicarono, mentre coloro per cui si era offerta guarirono.
Alla fine acconsentì a lasciare quell’ambiente ristretto: fu ricoverata all’ospedale di Santa Zita a Cracovia, dove, dopo aver ricevuto i Sacramenti, spirò il 12 marzo 1922 in estrema povertà.

Il processo di beatificazione
La sua fama di santità condusse all’apertura del suo processo di beatificazione. Il 10 settembre 1934 si ebbe il decreto sugli scritti, ma l’introduzione della causa avvenne solo il 30 marzo 1981. Promulgate nel frattempo le nuove norme sui processi di beatificazione e canonizzazione, il 20 giugno 1986 venne emesso il decreto di convalida del processo informativo e di quello apostolico.
La “Positio super virtutibus”, consegnata nel 1987, fu esaminata nel corso dello stesso anno dalla Consulta dei teologi, il 14 aprile, e dai cardinali e vescovi membri della Congregazione delle Cause dei Santi, il 2 giugno. Il 23 ottobre 1987, quindi, il Papa san Giovanni Paolo II autorizzò la promulgazione del decreto con cui Aniela Salawa veniva dichiarata Venerabile.

Il miracolo per la beatificazione
Come potenziale miracolo per ottenere la sua beatificazione venne esaminato il caso avvenuto nel 1990 a un bambino di Nowy Targ, in Polonia. Mentre il piccolo stava giocando in un parco con gli amici,  fu colpito violentemente alla testa: i medici riscontrarono delle lesioni al cervello.
I genitori fecero quindi celebrare una Messa per la sua guarigione e iniziarono una novena alla Venerabile Aniela Salawa. Il 6 aprile il bambino riprese a parlare e il 23 fu dimesso in buona salute.
Il processo sul miracolo venne quindi convalidato il 12 aprile 1991. Nel corso del medesimo anno, giunsero anche il parere positivo circa l’inspiegabilità scientifica della guarigione da parte della Consulta medica, il 6 giugno; quello dei Consultori teologi, il 21 giugno, sull’intercessione della Venerabile; quello dei cardinali e vescovi, il 2 luglio.
Il 6 luglio 1991 san Giovanni Paolo II poteva quindi autorizzare la promulgazione del decreto relativo, aprendo quindi la strada alla beatificazione.

La beatificazione e il culto
Aniela Salawa fu quindi beatificata da san Giovanni Paolo II il 13 agosto 1991 a Cracovia, durante il secondo viaggio apostolico in Polonia. La memoria liturgica, per la diocesi di Cracovia, è stata fissata al 12 marzo.
I suoi resti mortali sono stati traslati il 13 maggio 1949 nella basilica di San Francesco a Cracovia, dove tuttora sono venerati.

Autore: Antonio Borrelli ed Emilia Flocchini
 



Non è da tutti poter dire sul letto di morte: «Credo di essere in quella vocazione, luogo e stato in cui fin dall’infanzia Dio mi ha chiamato». Queste parole non arrivano dalla fondatrice di una congregazione religiosa o da un illuminato teologo, ma da una poco più che quarantenne domestica, una “colf”, diremmo oggi, che tra pentole e fornelli è riuscita a trovare la piena realizzazione di sé, tanto da fare della sua vita un capolavoro di perfezione cristiana, riconosciuto dalla Chiesa con la sua beatificazione.
Aniela (ossia Angela) Salawa è l’undicesima dei dodici figli del fabbro di Siepraw, vicino a Cracovia: una famiglia modesta, in cui bisogna lavorare molto per sfamare le tante bocche, ma in cui papà e mamma sono anche i primi autorevoli maestri della fede.
Mamma, in particolare, oltre ad insegnarle ad essere una brava figliola e una perfetta donna di casa, la prepara personalmente a ricevere, a 12 anni, la prima comunione. A giudicare da quello che lei diventerà, sono insegnamenti che lasciano il segno.
A 15 anni è già a servizio presso una famiglia della zona e le sue mansioni spaziano dall’accompagnare le mucche al pascolo al falciare l’erba, dalla custodia dei bambini ai lavori in casa: niente più e niente meno di quello che facevano le classiche “servette”, che fino a 50 anni fa erano presenti anche nelle nostre campagne.
Rientra in famiglia un paio d’anni dopo, proprio mentre papà sta trafficando per combinarle un buon matrimonio, che lei rifiuta con decisione. Continua a fare la domestica a Cracovia, dove si trasferisce, ma il nuovo padrone ha troppe attenzioni per lei fino ad arrivare ad insidiarla apertamente.
Lasciata questa casa, vaga di famiglia in famiglia, dove viene richiesta, ma l’autentica svolta alla sua vita arriva con la morte di una sorella, pure lei domestica a Cracovia. Da questo lutto esce come trasformata, con un vivo desiderio di percorrere la via della perfezione: moltiplica il tempo dedicato alla preghiera e alla meditazione, si affida ad una saggia e prudente direzione spirituale, inizia un oscuro ma prezioso apostolato tra le domestiche di Cracovia, troppo spesso abbandonate a se stesse.
Organizza per loro riunioni in cui le istruisce, le consiglia, le dirige, diventando per tutte un punto di riferimento e un autentico modello. Ha una gran cura di sé e del suo abbigliamento, non per attirare l’attenzione degli altri, ma per avere un buon biglietto di presentazione quando parla agli altri di Dio.
Il 1911 è tragico per lei: le muore la mamma, muore pure la signora presso la quale è a servizio, si ammala e si sente abbandonata dalle compagne. Esce da questa profonda crisi aggrappandosi alla preghiera e intensificando la sua unione con Dio.
Nel 1916 viene licenziata in tronco per aver osato contestare all’amante del suo padrone la sua relazione illecita e da quel momento non riesce più a trovare un lavoro stabile, mentre la salute si va sempre più deteriorando.
Si trasferisce in una soffitta, a consumarsi d’amore per Gesù e a prendere su di sé i malanni degli altri, fino a quando devono ricoverarla all’ospedale Santa Zita di Cracovia, dove muore in estrema povertà il 12 marzo 1922.
Giovanni Paolo II, che da seminarista e giovane prete aveva irrobustito la sua vocazione sulla tomba di lei, ha avuto la gioia di proclamare beata Aniela Salawa nella sua Cracovia il 13 agosto 1991.


Autore:
Gianpiero Pettiti

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Aggiunto/modificato il 2017-02-22

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