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Libia, ecco le basi straniere che complicano il processo di pace

Le basi straniere in Libia sono considerate uno dei principali problemi dietro all’impossibilità di trovare una quadra al processo di pace sostenuto dall’Onu. Ecco dove sono e chi c’è

La vicenda della nave turca messa sotto sequestro dalle forze ribelli della Cirenaica con l’accusa di aver traportato in Libia armi verso la Tripolitania ruota — anche per spinta propagandistica haftariana — attorno a uno dei temi enormi sullo sfondo dell’instabile situazione nel Paese. Gli attori esterni hanno prima rinforzato i propri proxy, aiutandoli nei mesi di conflitto, e adesso – nonostante l’Onu sia impegnato in un processo di contatto molto sponsorizzato ma molto poco fruttuoso – puntano a consolidare le proprie postazioni. Ankara per esempio ha già individuato nella base aerea di al Watiyah, verso il confine tunisino, e in quella navale di Misurata due dei propri punti di aggancio a misura permanente.

Ma chiaramente la Turchia non è sola in queste mire. Secondo le informazioni in possesso di Formiche.net, quelle due a Ovest sono soltanto alcune delle postazioni in cui gli attori esterni al conflitto vorrebbero stabilizzarsi. Proviamo a fare una veloce carrellate sulle altre, forse incompleta. Ad Al-Jufra, nell’entroterra di contatto tra Tripolitania e Cirenaica, ci sono i russi, che hanno schierato nella base anche assetti aerei più volte tracciati dal Pentagono; i russi si trovano anche ad Al-Qordabiya a Sirte, città costiera sulla verticale che separa le due macro-regioni libiche e per lungo tempo oggetto del contendere tra le due parti dopo che nel 2015 era stata occupata dallo Stato islamico; la Russia è presente anche in due installazioni nel sud-sudovest, Brak al Shati (non lontano dal campo Eni di El Feel) e Tamanhent, entrambe condivise con gli Emirati Arabi. Gli emiratini ospitano i russi anche ad Al-Khadim, una base aerea in piena Cirenaica, non distante dalla roccaforte haftariana di Bengasi, usata dalle forze aeree Uae come appoggio per i droni di fabbricazione cinese Wing Loong che hanno bombardato più volte Tripoli nei mesi passati. Gli emiratini sono anche a Benina, un aeroporto internazionale dual-use in cui potrebbero ancora esserci unità speciali francesi; le stesse potrebbero anche essere ad Al-Wigh, nel sud dove il Fezzan si perde nel deserto. Gli Emirati infine condividono con l’Egitto la base aerea Gamal Abdel Nasser che si trova a Tobruk, mentre gli egiziani hanno una postazione propria nei pressi del confine cirenaico a Martuba.

A fianco di questi dispiegamenti, che potremmo definire più formali, ce ne sono diversi altri clandestini. Piccole unità piazzate anche in ambienti civili, oppure in accampamenti nelle aree rurali. È del tutto possibile che ci siano forze occidentali – oltre a quelle che l’Italia schiera a Misurata, dove all’aeroporto c’è un ospedale militare da campo delle Forze Armate – così come svariate tipologie di contractor (o mercenari). È certo che i turchi abbiano spostato in Libia un contingente di miliziani siriani fedeli, così come lo stesso hanno fatto i russi. Altrettanto chiaro – ne sono uscite diverse immagini nei mesi passati – è che i russi gestiscano la presenza libica attraverso i contractor del Wagner Group, una società militare privata usata dal Cremlino per operazioni ibride (o meglio dire per far fare il lavoro sporco militare senza insegne). A proposito di questo, recentemente l’AfriCom, il comando del Pentagono che segue l’Africa, ha reso pubblica un’analisi secondo cui gli emiratini stanno pagando l’uso in Libia degli uomini della Wagner. Altrettanto recentemente l’ispettorato generale del Pentagono ha rilasciato un altro studio in cui ha individuato le attività di diversi Paesi sulla Libia: si parla di supporto diplomatico alle due parti, ma anche militare, economico, di intelligence e nel settore della disinformazione (dove Turchia e Russia guidano le attività di infowar per entrambi i lati). I risultati sono riassunti nella tabella sotto.

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