18 donne che cambiano la società, l’economia e la visione del mondo

Tecnologia, economia circolare, agricoltura, legalità. Sette esempi di intuizioni femminili che contribuiscono o hanno contribuito a cambiare la società. In meglio

le 10 donne selezionate per creare la startup che lavorerà per Masseria Antonio Esposito Ferraioli, il bene confiscato alla camorra più grande della Città Metropolitana partenopea

18 donne come modelli di un’idea di società civile inclusiva, paritaria e più sostenibile a portata di mano. Solo 18, naturalmente. Anche se l’elenco potrebbe comprenderne migliaia, milioni, che, ogni giorno e ad ogni latitudine, contribuiscono con successo a modificare una visione del mondo, spesso prettamente maschile, quando non apertamente discriminatoria. Una visione che impatta e si rifrange, auto-alimentandosi, su tutti i campi, dall’economia al lavoro, dalle relazioni alla comunicazione. Ma si sa, il genere umano ha fame di esempi virtuosi. Che possono mostrare una nuova via…

1. Kathy Matsui e la nascita dell’economia delle donne

Non tanto per la sua scalata ai vertici di una delle più importanti – e quindi criticate e criticabili – banche d’affari del mondo, Goldman Sachs, ma certo per aver introdotto una lettura dell’economia che individua l’apporto femminile come strategico fattore di sviluppo. Kathy Matsui, classe 1965, pubblica infatti il rapporto Women-omics. Buy the Female Economy nel 1999.

Nel documento, in cui viene analizzata la situazione delle donne nel mercato del lavoro giapponese, è contenuta una tesi inedita e, in qualche modo, per l’epoca, dirompente. Secondo Matsui grazie ad un aumento di partecipazione femminile si determinano notevoli miglioramenti per l’economia del Paese.

Kathy Matsui da “Womenomics 4.0. Closing the Employment Gender Gap in Japan”2. Daniela Ducato, riciclo e  bioedilizia d’avanguardia

«Speriamo diventi normale progettare oggetti di design ed edifici senza usare materiali petrolchimici»: così si esprimeva Daniela Ducato, dopo aver ricevuto il premio Design No War a Expo 2015. Parole che comunicavano un’etica del design e dell’edilizia che sono state alla base della sua prima impresa: Edilana, fondata nel 2006. Idee che affondano le basi nella ricerca sui materiali per la bioedilizia, iniziata col recupero degli scarti di lana prodotti dalla filiera che in Sardegna sfrutta circa tre milioni di pecore.

E da allora Edilana di strada ne ha fatta molta. Tanta che da lì è cresciuta un’esperienza più complessa, seppure radicata sui medesimi principi. L’evoluzione di quell’idea è infatti il network d’imprese Edizero Architecture for Peace, con base a Guspini, nel Medio Campidano (Vs). Polo d’avanguardia nella ricerca sui materiali naturali, che usa – oltre alla lana – il sughero, la terra cotta, la canapa per costruire e disinquinare i mari.

Daniela Ducato, fondatrice di Edilana, premio Design No War a Expo 20153. Tarana Burke. #MeToo, il vero inizio

Forse non tutti sanno che – come dice la nota rubrica – a dare il nome e l’inizio alla valanga del movimento #MeToo non fu il boom social-mediatico innescato da un tweet dell’attrice Alyssa Milano nel 2017. L’attesa ribellione pubblica contro le molestie, i ricatti e le violenze sessuali dei maschi in posizione di potere sui luoghi di lavoro allora è diventata virale. Ma il vero principio di Me Too si deve attribuire a Tarana Burke, che con Hollywood non aveva nulla a che fare.

Già nel 2006 Burke aveva infatti iniziato a usare la formula, senza che fosse un hashtag su Twitter, per protestare contro la pervasività degli abusi sessuali nella società, specialmente all’indirizzo delle donne nere. Ben prima della valanga giudiziaria e mediatica che ha travolto il potente produttore Harvey Weinstein, Burke aveva fondato quel movimento.

Tarana Burke, attivista sociale con 25 anni di esperieza nel movimento anti-violenza, alla Brown University – 14-2-2018Anche grazie a Burke – e a chi poi ne ha ricevuto e amplificato il messaggio – nei giorni scorsi è successo qualcosa di inedito. Un membro nominato dalla Casa Bianca alla Corte suprema, Brett Kavanaugh, ha dovuto affrontare pubblicamente, in diretta streaming, l’accusa di donne come Christine Blasey Ford. Donne incoraggiate a reagire da un clima che Me Too ha contribuito a diffondere.

Tarana Burke, attivista sociale con 25 anni di esperieza nel movimento anti-violenza, alla Brown University – 14-2-20184. Tre sorelle al lavoro, contro la mafia dei pascoli 

Un’altra storia italiana e isolana, ma di resistenza alla cosiddetta “mafia dei pascoli” in nome della legalità e del lavoro agricolo. È la storia di Irene, Ina e Anna Napoli, balzata agli onori della cronaca dopo il videoreportage di Salvo Palazzolo e Giorgio Ruta del 2017.

Tre sorelle di Mezzojuso (Pa) che, esasperate dalle invasioni delle mandrie altrui sui loro terreni a distruggerne il raccolto, dopo anni di denunce per danneggiamenti e pascolo abusivo, tutte archiviate, dopo episodi d’incendio e cani uccisi, vedono finalmente aprirsi nel 2014 un’indagine per estorsione ai loro danni. Da quell’indagine, anch’essa archiviata senza colpevoli, sono state ritenute vittime del racket e vengono seguite dal comando provinciale dei carabinieri di Palermo. Dalle loro denunce il fenomeno della “mafia dei pascoli”, fondato su soprusi e silenzi, è diventato oggetto di informazione.

Irene, Ina e Anna Napoli, tre sorelle contro la “mafia dei pascoli” a Mezzojuso (Pa)

5. Greta Thunberg, la lotta per l’ambiente non ha età

Si comincia presto a combattere per un ambiente migliore e un’economia sostenibile. A difendere il proprio futuro. Così Greta Thunberg, ragazzina svedese di 15 anni, il 20 agosto 2018 ha deciso di iniziare il proprio sciopero da scuola per il clima. Stando seduta a terra davanti al Parlamento di Stoccolma con i suoi cartelli ha smosso i media e le coscienze, protestando contro i cambiamenti climatici.

Greta Thunberg, la ragazzina svedese che sciopera da scuola per il clima – Il suo video su Twitter

Greta è piccola e c’è da sperare che da grande possa vedere la vittoria delle sue istanze. E chissà che la sua determinazione non abbia tratto spunto dall’esempio di altre donne che hanno lottato per un’economia che non pregiudichi l’ambiente. Persone come Vandana Shiva o le molte attiviste per i diritti dei popoli indigeni, alcune delle in nome di questo impegno hanno perso la vita (Dian FosseyBerta Caceres, Gloria Capitan, Lesbia Yaneth Urqia…).

6. Con Agitu Ideo Gudeta rivive la montagna

La storia di Agitu Ideo Gudeta, donna etiope giunta in Italia nel 2010 e laureatasi in sociologia a Trento, racchiude in sé troppi elementi positivi per non raccontarla.

Agitu Ideo Gudeta, dall’Etiopia all’azienda agricola La capra felice in Trentino Alto Adige. Fonte lacaprafelice.com

Esempio di integrazione perfettamente riuscita nella comunità, Agitu alleva capre e produce formaggi e ricotte su in montagna. Ma l’attività di La capra felice, questo il nome scelto per la sua azienda agricola, rappresenta molto più di questo. Ogni giorno, portando le sue capre al pascolo, Agitu riporta la vita attiva nelle montagne spesso abbandonate d’Italia.

Un lavoro duro svolto con energia e sorriso prima in Val di Gresta e ora nella Valle dei Mocheni. Grazie al quale valorizza la biodiversità (allevando la capra mochena, varietà a rischio, ha ricevuto il Premio resistenza casearia 2017 di Slow Food); pratica il recupero dei beni comuni (la sua azienda ha trovato “casa” negli edifici di un ex asilo); e offre lavoro, restituendo integrazione (con lei lavorano due persone due richiedenti asilo).

Donna indipendente e solida, Agitu ha anche dovuto affrontare attacchi violenti e a sfondo razzista. Come quelli di un vicino che l’ha più volte aggredita e minacciata di morte. E che, denunciato alle forze dell’ordine, solo dopo una campagna mediatica di sostegno è stato finalmente arrestato.

Il servizio integrale di RAI3 su Agitu Gudeta: l’etiope che salva le capre trentine

7. La startup anticamorra sarà femmina

Sono ben 10 le donne che, partecipando al bando Uscire dal silenzio del Consorzio Terzo Settore di Napoli, potranno dimostrare sul campo il proprio riscatto e quello di un territorio.

10 donne prima fragili, perché disoccupate, passate per i centri anti-violenza o segnalate dai servizi sociali comunali. E ora formate all’auto-impresa e all’impresa sociale, all’agricoltura sociale, alla creazione e gestione di un Gruppo d’Acquisto Solidale (GAS) e al commercio tradizionale ed elettronico. Alla fine del percorso – a settembre 2018 è iniziata l’ultima fase – fonderanno un’impresa sociale che, in principio attraverso la costituzione di un GAS, promuoverà e commercializzerà i prodotti della Masseria Antonio Esposito Ferraioli, il bene confiscato alla camorra più grande della Città Metropolitana partenopea.

Un’avventura che porterà con sé la forza dell’esempio e i valori del consumo critico e dell’economia solidale. Forza e valori di cui, a vedere qualche numero, c’è un bisogno estremo: «La percentuale di donne occupate in Italia continua a essere inferiore al 50%, il 12,2% in meno rispetto alla media Ue, e Napoli e provincia sono tra gli ultimi tre posti della classifica. Napoli ha il triste primato della provincia italiana con il più alto tasso di abusi da parte del partner, ben il 13,6%».