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Corriere della Sera - 28 agosto 2018 - pagina 27
Una collana per imparare le espressioni usate tutti i giorni da chi vive nel Regno Unito La docente italiana che insegna Shakespeare a Londra: «Certe parole me le spiega mia figlia»

coME si parla il vero inglese

di Michele Farina
è La nostra lingua globale
meno egemone, sempre fertile
resta un ponte tra culture

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D’ accordo «fiocco di neve». Ma «filo interdentale»? Se qualcuno vi dà del «fiocco di neve», vi sta offendendo pesantemente. Metafora attecchita nei campus Usa una ventina d’anni fa (per indicare una generazione di giovani senza nerbo), snowflake ha ripreso vigore da una parte all’altra dell’Atlantico come uno dei nuovi insulti usati nel turbinio della politica machista nell’era di Trump e della Brexit. Tanto che recentemente l’Oxford English Dictionary ha aggiornato il suo ventaglio di significati negativi per una parola che era (e rimane) bellissima. I vocabolari invece non hanno ancora rinfrescato il termine floss con la nuova accezione oltre a quella originaria di «filo interdentale». Neanche Sonia Massai, un’italiana arrivata a insegnare Studi Shakesperiani al King’s College di Londra, ne sapeva nulla. «È stata una delle mie figlie, la piccolina di 7 anni, a spiegarmi che è anche il nome di un nuovo ballo per bambini: la floss dance. Forse è il modo in cui si muovono le braccia a ricordare il significato originario», sorride questa filologa della provincia di Siena rapita dall’amore per l’inglese.

«La lingua è l’abito del pensiero», diceva Samuel Johnson. Sonia Massai insegna in Gran Bretagna dal 1997. Fin dai banchi di scuola, in un paesino della Toscana rurale, per lei la lingua inglese ha sempre rivestito quel senso di libertà di cui molti anni più tardi avrebbe ritrovato eco in un passo del Coriolano del suo amato Bardo: There is a world elsewhere. «Ecco — racconta Massai al Corriere — per me l’inglese è sempre stato quell’altrove, la chiave che mi avrebbe aperto una porta su altri mondi».

Lingue all’Università di Siena, Erasmus in Inghilterra, dottorato in un piccolo college del Sussex dove ha cominciato a insegnare nel ’97, poi nel 2003 il passaggio al King’s College di Londra. Per Sonia Massai «l’inglese è una lingua che va diretta al cuore. Complessa ma non formale. In una lingua romanza servono almeno un terzo in più dei vocaboli che ci vogliono per esprimersi in inglese. Molto più incisiva, corta, sintetica. Di una bellezza e di una musicalità straordinarie, senza però essere costretta dalle convenzioni».

Massai sta ultimando ora le pratiche per ottenere la cittadinanza britannica. «Prima del referendum del giugno 2016 non ce n’era bisogno, non avevo neanche la residenza in Gran Bretagna. In previsione della Brexit ho dovuto recuperare i cedolini dei vecchi stipendi per dimostrare che lavoro qui da 20 anni». Il fatto di essere un’italiana che insegna Shakespeare in un’università inglese a suo avviso «è una dimostrazione di tolleranza verso l’altro. Nonostante l’annunciata separazione dall’Ue mi sento ancora accolta e benvenuta». La lingua inglese nel dopo Brexit («posto che non sappiamo ancora bene come sarà») continuerà ad avere un ruolo fondamentale di ponte fra culture. «C’è un’espressione in inglese che rende l’idea: two ways traffic». La lingua come scambio, a due sensi di marcia.

Quest’estate Massai ha curato un libro sul lavoro del grande regista olandese Ivo Van Hove, che è di casa ad Amsterdam come a Londra e New York. I suoi lavori sono esportati in tutto l’angloworld. Il titolo del volume, che raccoglie i contributi di vari autori, è From Shakespeare to David Bowie: sembra il manifesto della lingua inglese e in qualche modo lo è. Van Hove è l’ultimo regista ad aver lavorato con il Duca Bianco, che lo ha cercato per il suo Lazarus. «Ivo è un esempio fantastico di questa cultura» in cui l’inglese ha perso un ruolo egemonico senza abbandonare (anzi esaltando) il suo ruolo di ponte fra culture. E senza necessariamente impoverirsi come ha sostenuto Robert McCrum nel suo libro Globish. Massai è d’accordo fino a un certo punto con chi parla dell’«inglese globale» come di una lingua in qualche modo rimpicciolita. «Il world English in realtà è fertile». Ed è ancora percepita come la lingua dell’Occidente, «allo stesso modo in cui la sentivo io nella Toscana rurale». Una chiave per l’altrove.

Massai lo vede con i suoi studenti al King’s College, molti dei quali vengono dall’Estremo Oriente. Lo vede nel mondo dello spettacolo, nel teatro. DI recente si è occupata di una compagnia di attori dello Zimbabwe che hanno messo in scena qui a Londra opere del Bardo in inglese e in shona. «Funziona. L’inglese è la lingua del mondo che incontra il mondo».

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